La massima – “In tema di responsabilità delle persone giuridiche per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneità del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice è chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. “prognosi postuma”, proprio della imputazione della responsabilità per colpa: deve cioè idealmente collocarsi nel momento in cui l’illecito è stato commesso e verificare se il “comportamento alternativo lecito”, ossia l’osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della “compliance” alle regole cautelari di tipo globale”. (Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 21640 Anno 2023)
La massima in esame affronta un tema centrale nella disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001: la valutazione dell’idoneità del modello organizzativo e gestionale adottato dall’ente per prevenire la commissione di reati da parte dei soggetti apicali. In particolare, la Corte afferma che tale valutazione deve basarsi sul criterio della “prognosi postuma”, mutuato dall’ambito della responsabilità per colpa, per verificare se l’adozione e l’effettiva attuazione del modello avrebbero potuto prevenire o ridurre il rischio del reato.
La scelta della Cassazione di applicare la “prognosi postuma” alla verifica dell’idoneità dei modelli 231 appare coerente con la struttura stessa della responsabilità dell’ente (ed anche con l’orientamento giurisprudenziale, sul punto si confronti Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261115) che si fonda su un difetto organizzativo assimilabile a una forma di colpa. Il giudice, dunque, non deve limitarsi a un controllo astratto del modello, ma deve valutare la sua concreta efficacia al momento della commissione del reato, chiedendosi se il rispetto delle misure previste avrebbe potuto impedire la condotta illecita.
Questo approccio risponde all’esigenza di evitare un formalismo eccessivo nell’analisi della compliance aziendale: un modello può apparire adeguato sulla carta, ma rivelarsi inefficace nella pratica. Tuttavia, la Corte precisa che non è necessaria una verifica globale della conformità del modello alle best practices, ma solo un giudizio di idoneità rispetto al reato specifico verificatosi. Questa impostazione mira a scongiurare un’eccessiva rigidità nella valutazione dei modelli organizzativi e a riconoscere margini di autonomia alle imprese nella predisposizione delle misure preventive. L’enunciato della Corte potrebbe sollevare alcune criticità ovvero il così detto rischio di “ex post facto reasoning”, ovvero, l’adozione della prognosi postuma potrebbe condurre a una valutazione eccessivamente influenzata dal verificarsi del reato e condurre il giudice, consapevole del verificarsi dell’evento delittuoso, a ritenere il modello inadeguato, senza considerare che anche un modello ben congegnato non è in grado di azzerare completamente il rischio di illeciti.
Fortunatamente nel testo della sentenza la Corte ha precisato che “l’accertamento della responsabilità dell’ente deve passare attraverso la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, che intercorrono tra la carenza organizzativa e il fatto-reato, sicché il reato presupposto deve essere messo in collegamento con la carenza di auto-organizzazione preventiva, che costituisce la vera e propria condotta stigmatizzabile dell’ente.
Il giudice, quindi, dovrà dimostrare, al fine di giustificare l’affermazione di responsabilità dell’ente, di aver valutato il deficit di auto-organizzazione (vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall’ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei “Modelli di organizzazione, gestione e controllo”) e la sua stretta correlazione con l’evento delittuoso.
Pertanto, la responsabilità dell’ente deriva dalla valutazione sulla bontà del modello organizzativo diprevenzione degli illeciti di cui si è dotato: l’ente che si dota di modelli organizzativi idonei e tendenzialmente efficaci potrebbe, pertanto, andare esente da responsabilità ex legge n. 231 del 2001, pur se un reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.
Riflessioni
- La Corte esclude la necessità di una valutazione globale della compliance, concentrandosi solo sull’efficacia del modello rispetto al reato specifico. Questo approccio, se da un lato è funzionale a evitare un’eccessiva ingerenza giudiziale nelle scelte aziendali, dall’altro rischia di ridurre la portata sistemica dei modelli 231. Infatti, un modello efficace non dovrebbe essere valutato solo con riferimento al singolo illecito, ma nel suo complesso, in quanto finalizzato a prevenire un’intera categoria di reati. Una verifica troppo ristretta potrebbe portare a decisioni contraddittorie, riconoscendo l’idoneità di un modello per alcuni reati e negandola per altri, anche se disciplinati dallo stesso assetto organizzativo.
- Dal punto di vista pratico, l’applicazione del criterio della prognosi postuma impone alle imprese un onere particolarmente elevato nella dimostrazione dell’efficacia dei modelli organizzativi. Non basterà dimostrare di aver adottato un modello conforme agli standard normativi: sarà necessario provare che, se applicato correttamente, avrebbe potuto evitare il reato. Ciò potrebbe incentivare le aziende a dotarsi di modelli iper-dettagliati e poco “snelli”, più orientati a difendersi in giudizio che a garantire una reale prevenzione del rischio
Come evitare la responsabilità dell’azienda?
Le aziende devono adottare modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire tali comportamenti; ciò implica:
- Implementazione di procedure rigorose.
- Controlli interni per garantire la correttezza delle procedure
Un modello di compliance efficace può non solo prevenire sanzioni, ma anche migliorare la reputazione aziendale e la fiducia da parte dei clienti e investitori.
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Edit. avv. Mauro Alvino